sabato 31 ottobre 2015

Felice Samonios

In questa notte in cui i confini tra i mondi si fanno sottili, auguro a tutti di trovare la luce che illuminerà il proprio cammino per il nuovo anno che stiamo per salutare. 
Un addio al passato ed uno sguardo speranzoso al futuro. 
Che gli dei vi siano benevoli, che il sacro fuoco di questa notte vi scaldi il cuore, che le tenebre si allontanino da voi per darvi chiarezza. 
Auguri amici! 





Djablessa

mercoledì 9 settembre 2015

lunedì 10 agosto 2015

SALVIA





Salvia officinalis

Nome latino: salvus, ossia salvo, sano. E questo la dice lunga su questa pianta conosciuta fin dall’antichità.
Nome inglese: sage
Nome francese: sauge
Nome patois:  salvia


Origine: zona mediterranea, coltivata fino a 1.000 metri di altitudine
Fioritura: maggio - luglio, anche se è una sempreverde, dopo il disgelo l’ho ritrovata ancora perfetta come prima della neve
Parti utilizzate: foglie e sommità fiorite, sia secchi che freschi



Sfera comune

Proprietà: aromatiche, tossifughe, antisettiche, antinfiammatorie, digestive, espettoranti, diuretiche, ipoglicemizzanti, asma, infezioni all’apparato respiratorio, eczemi, piaghe, ulcere, dermatiti 


Uso: 
- aroma in cucina;
- ridurre la sudorazione e la secrezione lattea; 
- antinfiammatorio dell’apparato respiratorio (gargarismi per l’infiammazione delle mucose delle cavità orofaringee) e del canali gastrointestinale;
- regolarizza il sistema endocrino (disturbi menopausa come vampate e sudorazione), irrigazioni vaginali
- sconsigliata sia in allattamento che in gravidanza 
Decotto: combatte le infiammazioni di bocca e gengive
Infuso: regolarizza il ciclo mestruale e allevia dai disturbi della menopausa
Tintura madre: 5 gocce in mezzo bicchiere di acqua è un perfetto collutorio; 10 gocce su uno zuccherino combatte nervosismo e depressione
  

Curiosità: 
- contiene tujone (il principio attivo dell’assenzio, per intenderci)
- pianta conosciuta fin dall’antichità per le sue proprietà medicamentose, il nome è sinonimo di “salvare da tutto”: gli Egizi usavano il suo olio essenziale nel processo di imbalsamazione, era associata all’immortalità; associata a Zeus nella cultura ellenica veniva bruciata durante i riti a lui dedicati; i Druidi celtici la usavano per avere visioni sul futuro; sacra presso i Romani poiché simbolo di vita, nel Medioevo si credeva che potesse dare longevità alle persone e le levatrici la usavano per favorire le contrazioni; nel ‘600 veniva usato un aceto, chiamato l’aceto dei quattro ladroni come cura preventiva delle infezioni
- se cresce in un clima caldo e secco è particolarmente ricca di oli balsamici





Sfera magica

Pianeta: Giove
Elemento: Aria


Proprietà magiche: 
- immortalità, longevità
- saggezza
- protezione
- desideri


Uso in magia: 
- secondo il detto chi vuol vivere cent’anni, mangi la salvia di maggio ci dice che mangiarne un po’ tutti i giorni ci allunga la vita
- portata addosso dona saggezza, avvicina denaro, allontana il male (se inserita in un piccolo corno da portare sempre con sé)
- una foglia sotto il cuscino fa avverare i desideri se ci si dorme sopra tre notti, in questo lasso di tempo non si sogna ciò che si brama è meglio seppellirla e non andare oltre
- un’aiuola di sola salvia attira la sfortuna, quindi è meglio mischiare con altre piante (porta male anche viene piantata nel proprio giardino da se stessi, è sempre meglio chiedere a qualcuno di farlo)
- l’aceto dei quattro ladroni può essere usato per purificarsi prima dei riti
- secca negli incensi
- in sacchetti o cuscini magici


Riti/rituali: meditazione, prosperità, purificazione



Djablessa ©



















Bibliografia:

- La medicina dei semplici - Piante officinali delle montagne italiane, U. Scortegagna, Duck Edizioni
- Andar per erbe in Piemonte e Valle d'Aosta, V. Sanfo e E. Pittoni, Editrice P Il Punto
- I giardini incantati - le piante e la magia lunare, D. Scott, Venexia
- Enciclopedia delle piante magiche, S. Cunningham, Mursia
- Magia delle erbe, S. Pezzella, Edizioni Mediterranee

domenica 2 agosto 2015

Aquila e lupo

Facendo un po' di pulizia nel mio hard disk mi ha passato tra le mani questo mio racconto del 1998, avevo 18 anni ed il sogno di diventare una scrittrice famosa. Questo è stato il tentativo per un concorso letterario in lingua francese a cui avevo partecipato.

Buona lettura



«Nel mio villaggio si tramanda una leggenda che inizia in un tempo in cui il fantastico si mescolava con il reale. Un tempo oscuro dove un'ombra recava timore e notti insonni. Un tempo in cui la gente aveva paura della luna e amava il sole. Un tempo molto lontano.
In un villaggio perso nelle pendici verdeggianti del monte Glorysfad, dove la gente conosceva solo l'amore-timore di Dio, vivevano, alla soglia di un bosco, due sorelle gemelle Seren ed Igraine, figlie di un boscaiolo sempliciotto e buono e di Akyre, morta nel darle alla luce, figlia del divino Glorysfad. Seren ed Igraine erano sempre state diverse dai loro coetanei, dalla gente del villaggio, da tutti gli abitanti di quell'ancestrale terra. I loro migliori amici e consiglieri erano le secolari Querce che formavano il Bosco; i loro informatori segreti erano i quattro Venti; i Sassi, le Erbe, gli Animali erano i loro compagni di gioco. La Pioggia le cullava nelle notti d'autunno, la Terra le nutriva e insegnava loro le virtù destinate alle persone speciali come loro due. La loro diversità non stava solo nel parlare con tutte le manifestazioni di Madre Natura, andava al di là di qualsiasi conoscenza di allora e di oggi. La caratteristica che più le differenziava stava nella loro natura stessa. Non erano solo due ragazze giovani attraenti dai capelli di corvo, dagli occhi di cielo, dalla pelle di latte, dalla bocca fragile, dal seno di dune e dai fianchi di donna, non erano solo la bellezza personificata: loro erano anche per metà animale.
La notte in cui nacquero era limpida e stranamente stellata, due costellazioni brillavano più di tutte: Aquila e Lupo. Queste due stelle gli donarono la vita, poiché erano nate morte. Igraine trasse vita da Aquila, mentre Seren la prese da Lupo. Fu così che le due gemelle poterono prendere le sembianze dell'animale che ha dato nome alla loro "buona stella". Col passare degli anni in Seren poté correre come il vento e il suo udito si sviluppava di giorno in giorno. Igraine, invece, iniziò presto a volare e a vedere a lunga distanza, attraverso i corpi solidi e nella notte. Durante giorno riusciva anche a guardare il Sole negli occhi e lui non poté fare a meno di innamorarsene. Il padre non si domandò mai il motivo delle loro ripetute assenze, sin dalla più tenera età sapeva che le sue figlie erano lo specchio della loro defunta madre in quanto speciali come lei. Le due bambine potevano trasformarsi ogni qualvolta lo desiderassero, ma l'istinto vinceva la loro volontà durante la notte, il loro spirito animale si impadroniva di quello umano, per alcune esigenze di sopravvivenza, all'imbrunire e fino all'alba il vecchio genitore non le vedeva più. Nonostante queste spettacolari caratteristiche una maledizione pendeva su di loro. Esse potevano amare soltanto chi era come loro. Scoprirono questo fatto il giorno che un boscaiolo, Lir, iniziò a corteggiare Seren. Era un bel ragazzo del fisico possente, dagli occhi profondi come la terra, con i capelli d'oro. Ogni ragazza del villaggio sognava di diventarne l'amante. Il caso volle che un giorno di primavera, quando simultaneamente ai boccioli fioriscono gli amori, l'aria fosse tersa dal calore del Vento del Sud che quel dì correva con moderatezza poiché la stanchezza delle lunghe notti insonne si faceva sentire, e poi egli voleva passeggiare in quella verde Vallata dove la Natura incontaminata regnava come sovrana indiscussa. Proprio a causa di questo calore sensuale, Lir sentì un forte bisogno di rinfrescarsi. Si recò così alle cascate sovrastanti il villaggio, dove mai nessuno, dopo la morte di Akire, vi andò per rispetto del suo buon spirito. Lir vide Seren fare un bagno nel laghetto formato dalle cascate, la bellezza della ragazza era talmente eterea che non poté fare a meno di rimanere immobile, pervaso da un certo stupore, a guardarla. Era la creatura più bella che avesse mai visto. Seren, all'epoca, aveva quindici anni, ma il suo splendido corpo tradiva la sua età. Lir, ancora scioccato da tanta bellezza, si sporse dal cespuglio che lo nascondeva ruzzolando dal piccolo promontorio fino ai piedi del piccolo Lago. Seren si volse, ma, a differenza delle ragazze del villaggio, non urlò, né tanto meno scappò, anzi in tutta la sua bellezza di donna si avvicinò al ragazzo per aiutarlo. Gli chiese se si sentisse bene, ed egli annuì. Si conobbero, e iniziarono a passare molto tempo insieme. Ma un giorno, in cui il desiderio dei due giovani si fece più intenso, Lir si azzardò a baciare la sua amata. Nel momento in cui le sue dolci labbra sfiorarono quelle di lei si tramutò in una statua di pietra morta. Inorridita Seren scappò da sua sorella e le raccontò l'accaduto. Quella notte lo spirito della madre si rivelò alle due gemelle e spiegò loro il crudele maleficio che le avrebbe accompagnate fino alla loro morte umana: qualunque ragazzo da loro amato, nel momento del primo, indimenticabile bacio si sarebbe tramutato in una pietra morta.
Nell'autunno successivo il padre morì e per tre lunghe settimane le sue figlie rimasero animale. Un cacciatore, profanando il Bosco Sacro dove esse vivevano, scorse, in quei giorni, un Lupo fantastico. Il pelo dell'animale era argenteo, l'andatura possente gli donava un aspetto saggio e potente: doveva essere il re della selva. Decise, preso dalla superbia umana, di ucciderlo per poi portare la pelliccia alla moglie che altro non desiderava. Gli puntò il fucile sul cuore, accarezzò lievemente il grilletto, un senso di onnipotenza lo pervase. L'animale era nelle sue mani, poteva deciderne la vita e la morte. Sbagliava, e non sapeva quanto. Tirò il cane del fucile verso di lui, l'indice si avvicinava lentamente al grilletto, voleva godersi gli ultimi attimi di potenza, nel momento in cui stava per premerlo arrivò in picchiata un'Aquila le cui piume sembravano fatte d'oro, era l'animale più bello che avesse mai visto, ma anche il più crudele. Questi l'attaccò con lo scopo di salvare il Lupo, iniziò, così, a beccarlo con forza in tutto il corpo per diversi minuti. Il cacciatore cadde su un tappeto di foglie, morente. Prima di chiudere gli occhi per sempre notò con stupore che l'Aquila sorrise al Lupo e che questi contraccambiò. Poi spirò.
Molte Lune passarono e nel villaggio non si sentirono più i soavi canti che, ogni notte di Luna piena, solevano fare le due gemelle; né le si videro più passeggiare per le contrade amicando ai forestieri e non. Si erano rintanate nella loro dimora. Solo gli abitanti del Bosco le facevano compagnia ed avevano il compito di allontanare, in qualunque modo, qualsiasi persona varcasse la soglia da loro prescritta. Fu così che non vennero più abbattuti alberi, non vennero più uccisi animali, il Bosco divenne un paradiso perduto. La gente del villaggio doveva andare in quelli vicini per procurarsi il cibo. Così, tra mito e leggenda, si sparse la voce che le due ragazze praticassero magia nera. In realtà esse avevano acquisito dei poteri magici da Madre Natura, ma erano praticamente la quintessenza del bene. Ben presto, per via di queste malelingue, nessuno si avvicinò più alla Foresta. La vigilanza degli Animali si esaurì ben presto, perché, per loro indole, preferivano il gioco a "certi" compiti. Un giorno in cui la pioggia primaverile era più forte che mai, tant'è che nessuno uscì dalla sua tana (sia uomini che Animali), bussò alla porta delle due fanciulle una ragazza di sedici anni. Le sorelle impietosite dallo stato logoro e sudicio della ragazza la fecero entrare. Per la prima volta dopo il terribile episodio col boscaiolo e la morte del padre qualcuno metteva piede in quella casa. Dopo un bagno rinfrescante e una tazza di una strana bevanda aromatica calda, la forestiera raccontò loro la sua storia. Il suo nome era Bio, era scappata da un villaggio lontano diverse leghe per evitare un matrimonio d'interesse impostole dal padre, inoltre, era fuggita per ricominciare una nuova vita. Voleva ritrovare se stessa e la sua anima che aveva perso per le troppe lacrime versate alla morte di suo fratello, ucciso per mano di una donna che diceva di amarlo. Aveva saputo, strada facendo, la storia di Seren ed Igraine e aveva deciso, previa il loro consenso, di unirsi a loro e vivere in perfetta armonia. Le due gemelle le consentirono di vivere con loro. Nonostante il desiderio insaziabile di vendetta che ospitava la giovane, capirono che era caratterizzata da una semplicità, una purezza e una lealtà uniche, che mai in nessuno avevano trovato prima di allora. Non le rivelarono, però, la loro doppia Natura, era ancora troppo presto. Anzi l'ammonirono dal domandar loro il motivo delle loro strane assenze notturne. Dopo tre giorni finirono le piogge e il sole, come se gli fosse stato imposto, tornò a baciare il villaggio col suo calore. Seren ed Igraine accompagnarono Bio alle cascate. Benché Seren non ci avesse più messo piede dopo la morte di Lir ci andò, stranamente, di buona voglia, invasa dalla stessa insolita felicità che aveva catturato anche Igraine. Guardandosi negli occhi si comunicarono la loro sensazione e capirono che Bio era davvero speciale, che in lei c'era qualcosa di magico, di indefinibile. Alle cascate le trevragazze fecero il bagno e si divertirono a giocarsi scherzi a vicenda. Bio ridiede alle due sorelle, che seppe riconoscerle dal primo instante, la voglia di vivere come donne. Quel giorno le gemelle le insegnarono a parlare con le entità della Natura. Lei era sul bordo del Laghetto e prese un Sasso per tirarlo nell'acqua e poi formare i soliti anelli che emozionano tanto i bambini. Quando il suo braccio si spostò leggermente in dietro per prendere lo slancio, venne fermato da Igraine che le chiese se il Sasso fosse contento di affogare, e se il Laghetto volesse essere turbato da un amico estraneo. A quella domanda la ragazza rise di cuore, ma le sorelle che sembravano offese le dissero di concentrarsi sull'Energia che scaturisce dal Sasso, dopo qualche minuto riuscì a sentirla. Era pervasa da questa forza divinamente semplice e sentì il cuore del Sasso che parlava la suo, gli diceva di riposarlo dove l'aveva trovato , poiché stava bene sotto il sole, le disse, inoltre, che era un cucciolo e non voleva morire, poi sentì anche la voce del Laghetto che le diceva di voler restare tranquillo e la invitò nuovamente a fare un bagno poiché era stato colpito dal candore della sua pelle. Bio era spaventata, eccitata, incredula, ma più di tutto sentiva in lei una sensazione di ringraziamento verso le due sorelle che l'avevano resa partecipe di una tale sensazione. Da quel giorno riuscì a comunicare con ogni forma vivente.
Una notte in cui la luna illuminava tutto il villaggio e donava un contorno dorato al monte Glorysfad, Seren ed Igraine sparirono per tutta la notte, ciò preoccupò molto Bio, poiché aveva sentito dire dai paesani che si aggiravano nella Foresta un feroce Lupo ed una crudele Aquila. La ragazza decise di andare a cercare le sue amiche e maestre nel Bosco. Percorse diversi sentieri, ma non le vide, era disperata, voleva aiutarle, ma non sapeva come, si sentiva talmente inutile che scoppiò a piangere. Fu allora che vide arrivare verso di lei il più bel Lupo che avesse mai visto. Aveva un pelo lungo e lucente, le zampe robuste, le orecchie dritte, ma soprattutto aveva degli occhi che brillavano di una luce eterea che la riempiva di vitalità e di felicità. L'animale le si avvicinò con lenta sicurezza, non ne ebbe paura, iniziò a pensare che gli abitanti del luogo fossero pazzi a credere che un simile essere potesse nuocer loro. Lei tese una mano con inaspettata sicurezza, il Lupo iniziò a strofinarsi all'arto, poi lentamente Bio lo accarezzò e iniziò a parlargli della sua ricerca e delle sue preoccupazioni. In quel momento arrivò anche l'Aquila che le era stata dipinta come un rapace solitario e spietato. Le si fermò davanti. Anche questi era di una bellezza sorprendente e perfetta, e i suoi occhi emanavano lo stesso calore del Lupo. Passò l'intera notte con i suoi nuovi amici. Una notte fatta di pure riflessioni, di divertimenti e di amicizia profonda. Al levar del sole i due animali fuggirono, lei tornò felice alla sua dimora. Le due bestie le avevano inculcato una straordinaria calma interiore che mai si sarebbe sognata. Al suo ritorno a casa ritrovò le sue amiche e raccontò loro ciò che aveva passato la notte. Dal tono gioioso e infantile col quale Bio narrò la sua straordinaria avventura, le due gemelle decisero di raccontarle la verità. «Devi sapere, cara Bio, che quei due animali eravamo io e mia sorella. – rivelò dolcemente Igraine – Fin dalla nostra nascita abbiamo questo potere di trasformazione, noi siamo molto speciali siamo le nipoti del divino Glorysfad.». Bio non riusciva a crederci era una realtà che apparentemente le era lontana. Allora le due ragazze si trasformarono sotto i suoi occhi. Vide Igraine alzarsi leggiadra nel cielo e vide Seren correrle intorno. Bio sorrise puerilmente. Quando le gemelle ripresero le loro sembianze Seren aggiunge una frase al breve discorso della sorella: «Sei l'unica che conosce il nostro segreto, te lo abbiamo rivelato perché sei una ragazza speciale, ma c'è ancora una cosa che devi imparare. La terza ed ultima prova per ritrovare te stessa». Bio chiese spiegazioni al riguardo. Le gemelle le spiegarono che sin dalla nascita erano state investite di due compiti il primo era quello di ridare l'anima ad una giovane cinica che avesse bussato alla loro porta, il secondo, invece, non lo nominarono dicendo che era ancora troppo presto per lei saperlo, e di non volerla preoccupare. Bio accettò questa decisione di silenzio contro voglia. Dopo pochi giorni ebbe inizio la terza ed ultima prova di Bio per ritrovare se stessa. Poteva sembrare inutile perché la ragazza aveva ritrovato la sua anima spensierata, ma questa esperienza l'avrebbe cambiata notevolmente, incidendo per sempre sul suo futuro. Era un pomeriggio estivo, terso di un sapore incantato come raramente accade sulla terra di questi tempi. Il calore era così forte che Seren ed Igraine decisero di andare alla sorgente a farsi un bagno. Bio rimase sulla riva, sdraiata. Le due sorelle iniziarono ad intonare una delle loro soavi melodie che tanto piacevano agli abitanti del paese. Gli occhi di Bio erano chiusi, la mente libera. Pian piano il canto delle gemelle le entrò nella testa attraverso le orecchie, per poi giungere al cuore. Fu allora che provò la più Naturale ed eccitante sensazione della sua vita. Il suo cuore le risuonava nella profondità della sua anima, ed iniziò a palpitare all'unisono con quello della Terra. Era diventata un tutt'uno con Lei, la sentiva parlare, ridere, piangere e cantare. Era piacevole e suscitava in Bio un'emozione ancestrale di unione eterna con colei che l'aveva generata. Tutto ad un tratto la magia finì brutalmente. Un boscaiolo vedendola così indifesa le si gettò addosso nel tentativo di possederla. Ma velocemente arrivò in picchiata un'Aquila splendida che iniziò a beccarlo con violenza tanto da stordirlo. Sopraggiunse allora un possente Lupo che lo sbranò senza nemmeno guardarlo in faccia. Le due gemelle tornarono alle loro sembianze umane. Bio ancora spaventata per l'episodio riuscì ad emettere un solo sussurro di ringraziamento. Nei giorni che seguirono Bio era praticamente diventata un'unica entità con le due gemelle. I giorni passarono veloci e spensierati, finché una sera Seren ed Igraine vennero svegliate da un incubo. n incubo nel quale veniva loro informato della prossimità del giorno della loro battaglia finale. Non ne parlarono con Bio, ma per la ragazza era palese che qualcosa non andasse. Seren ed Igraine le parlarono del loro secondo compito. Esse dovevano combattere il Male che altri non era se non la loro nonna materna Byllys, moglie di Glorysfad. Bio chiese se potesse essere loro di aiuto, ma le gemelle risposero che era la loro guerra e che, al massimo, Bio avrebbe potuto tramandare di generazione in generazione la loro storia.
Il giorno della grande battaglia arrivò fin troppo velocemente. Era il giorno dell'equinozio di autunno, quando una vecchia mendicante bussò alla loro porta in cerca di aiuto e di riparo. Appena la donna entrò in casa si rivelò per quella che era: la temibile Byllys. Seren ed Igraine non sembrarono scomporsi. Bio in preda al panico venne scaraventata nella stanza adiacente da Igraine. Successivamente la ragazza comprese che le due gemelle erano consapevoli del fatto che la mendicante che aveva bussato era la loro nonna. Seren, Igraine e Byllys uscirono dalla dimora. Il Cielo era cupo, il Sole era celato da una nuvola, il Vento non respirava, il Bosco era muto. Byllys iniziò ad attaccare le sue due uniche nipoti. Lampi magici e Vento impalpabile si abbatterono su Seren ed Igraine. La nonna gridava loro di essere la sua vergogna, che non erano in grado di far male ad una mosca. Le accusa di non aver utilizzato al meglio le loro vite virando verso la strada del Male. Per tutta risposta le due gemelle iniziarono a cantare con la loro dolce voce, una voce che arrivava direttamente dal cuore, una voce che era fonte di bene. Tappandosi le orecchie Byllys scagliò loro contro le sue Pietre magiche, ma, spostate forse da una magia, le pietre che giacevano ai piedi delle gemelle formarono una barriera per proteggerle. Byllys non demorse e le fece attaccare dal suo esercito di statue di pietra morta. Seren riconobbe in una di queste il suo amato Lir. Gli gridò di fermarsi, gli ricordò il loro amore, ma le pietre morte non sanno né parlare né ascoltare. Indifesa venne attaccata e sfregiata dal colui che un tempo era l'artefice delle sue passioni e dei sui fremiti adolescenziali. Igraine le si gettò sopra inveendo contro di lui e la nonna per un'azione così meschina. Lei le rispose che per il Male nulla è troppo misero, anzi le imprese più basse gli dona vita. Le ragazze a terra guardarono verso il cielo, era scesa la notte. Glorysfad venne loro in aiuto allontanando tacitamente le nuvole. In quel cielo, nella notte in cui le gemelle compivano vent'anni, videro risplendere di una luce incantata le loro buone stelle. Le due costellazioni dell'Aquila e de Lupo le baciarono e le diedero la saggezza che serviva loro per sconfiggere la nonna. Con un solo sguardo, come spesso solevano fare, si capire all'istante. Insieme elaborarono il modo per sconfiggere il Male che le perseguitava. Compresero che finché fossero state esseri umani avrebbero perso. Il Male è un concetto solo umano, solo gli uomini scindono il Bene dal Male. Tutto ciò c di più spregevole sulla terra è fatto dall'uomo che non segue più l'istinto, ma la ragione che, il più delle volte lo porta a commettere errori ed orrori impossibili da sanare. Da questa consapevolezza le due gemelle presero loro più grande decisione. Decisero di rimanere per tutto il tempo di vita che Glorysfad gli avrebbe donato Lupo ed Aquila. Fu così che per sempre si trasformarono. Nel momento in cui le loro sembianze furono quelle degli animali, Byllys si dileguò per l'eternità. Ecco come due ragazze speciali combatterono la loro battaglia e il Male che, come in tutti gli uomini, era dentro di loro. In quanto a Bio, se qualcuno se lo domandasse, ha mantenuto alla premessa che fece ad Seren ed Igraine.»

Djablessa ©

venerdì 26 giugno 2015

Solstizio d’estate – Litha – San Giovanni

Anche se con qualche giorno di ritardo, era presa dai festeggiamenti e dalla mia vita ordinaria, oggi vi vorrei parlare del sabbat appena trascorso e del suo significato nei suoi tre aspetti: tradizione, neopaganesimo e cattolico.

Il 21 giugno, il solstizio d’estate, e i giorni a seguire, con il culmine il 24, sono da sempre, nella tradizione popolare e magica, momenti intensi, attimi di transizione.

Litha, uno dei sabbat minori, festeggia “un giorno fuori dal tempo”, il confine tra i mondi dei vivi e quello dei morti sono sottili, un po’ come accade a Beltane, a Samonios e al secondo solstizio, ma in questo giorno ogni cosa vive al proprio contrario. Litha rappresenta la mezzaestate narrata da Shakespeare, quella iniziata un mese e mezzo prima con i fuochi di Belenos.
I festeggiamenti, fatti di falò, danze e canti, sono dedicati alla passione e ad auspicare un raccolto di successo. La Dea, come la terra, sono gravide, i semi di Beltane germogliano in loro.
È tradizione raccogliere le erbe per essiccarle, così come facevano gli antichi druidi, nelle tradizioni popolari ancora si va a caccia di iperico e altre erbe che in questi giorni raggiungo il culmino del loro principio attivo. Una di queste, la più conosciuta è senza dubbio l’iperico, ma di questa parlerò in un post a lui dedicato, nella nuova sezione Erbario.

Il cattolicesimo ha sostituito questa festività pagana con San Giovanni, simbolo solstiziale, trova il suo alter ego nel San Giovanni delle tenebre, e diventano patroni della Massoneria.
Il primo il Battista, è stato colui che ha reintrodotto l’antico rito ebraico della purificazione: il battesimo. Cerimonia che l stesso Gesù Cristo ha preteso per essere uguale agli altri cristiani, nonostante non avesse bisogno di una funzione per remissione di peccati. lui che era senza peccato. La tradizione vuole il Battista, per altro unico santo, dopo la Madonna, che viene ricordato il giorno della sua nascita e non della sua morte, essere il patrono dell’amicizia e della fedeltà, dell’amore casto (quello dell intenzioni pure e lecite) e dell’amore coniugale (non a caso invocato dalle fanciulle in età da marito per propiziare l’arrivo di un consorte). È anche annunciatore dello Spirito, della venuta del Dio in Terra e spesso, per questo nella tradizione popolare, viene chiamato nei riti di esorcismo.
Il secondo San Giovanni è l’Evangelilsta, il discepolo più amato dal Salvatore e colui che scrisse il misterioso libro dell’Apocalisse. È il protettore dei fabbricanti di candele, teologi e studenti. È il donatore di luce ed è anche il patrono dei Templari, degli Gnostici e dei Rosa-Croce.

In questo giorno, inoltre vi è il secondo duello tra Re Quercia e Re Agrifoglio, due fratelli che nella tradizione celtica rappresentano l’anno, a vincere sarà il secondo e con lui viene sancito l’inizio del periodo buio. Strano vero? Pensare che ci stiamo avvicinando alla fase oscura dell’anno. Invece è così, a ben pensarci, il sole ha raggiunto lo zenit, il suo culmine, il punto più alto e non può che fare una cosa, scendere e con esso il giorno inizia, piano piano a ridursi. Ed è con questa riflessione che vorrei concludere: viviamo in un mondo intriso di dualismo, così come diceva Hesse “la dualità è vita, l’unicità è morte”  abbiamo, per la seconda volta nel corso dell’anno, luce e tenebra che si susseguono, l’una cede il passo all’altra, rammentandoci che sono le due facce di una stessa medaglia, così com’è il mondo.

Djablessa 26/06/2015

domenica 10 maggio 2015

Pizza senza glutine


Dopo lunga e penosa malattia credo che finalmente ce l'ho fatta! Sì ho finalmente trovato la quadra per farmi una pizza senza glutine come gli dei comandano. 

Mi sembra giusto trasmettere la ricetta. 

In primis bisogna utilizzare il preparato senza glutine speciale per pane e pizza Dallagiovanna che il cui costo è piuttosto concorrenziale siamo intorno ai 6€ per 1 kg di prodotto (la Schär fa gli stessi pressi ma per la metà). 
Io ho utilizzato una ricetta che ho trovato direttamente sul sito del mulino, ossia:

560 gr di preparato
320 gr di acqua
28 gr di lievito fresco (io ho poi usato un cubetto che in realtà ne pesa 25, ma va bene uguale)
30 gr di olio

Preparazione, io uso il Bimby®, quindi tempi e modalità sono con questo (ricetta sul libro base), vi consiglio di adattarlo alla vs planetaria, se ne avete una. 
Ho inserito acqua, lievito e olio, ho fatto girare 5'' a vel. 3 poi ho lasciato lievitare l'acqua per 15'.
Dopodiché ho aggiunto il preparato 3' vel. spiga.

Ed ecco illuminarmi di immenso, un composto perfetto, facilissimo da togliere come la pizza normale. Insomma i presupposti c'erano tutti.
Poi ho lasciato lievitare per 40' in una ciotola coperta da un panno sotto il sole, ma solo per una questione di tempi, altrimenti l'ideale sarebbe un'ora. 

Passati i 40', sollevo il panno ed ecco davanti a me il composto raddoppiato, mai successo prima. 
Memore di esperienze passate ho preferito fare dei pazienti e poi stenderli direttamente nella teglia aiutata da un bicchiere piccolo, quella della nutella® per intenderci. Si stendeva perfettamente, la prossima volta proverò a farlo direttamente nel tagliere col matarrello.

L'ho condita e messa in forno preriscaldato a 200° per circa una decina di minuti, vi consiglio di controllare. Tecnicamente perfetta!










Non vi resta che mangiare! 

Sono al settimo cielo, e sarò una donna completa appena troverò la birra adeguata!

Djablessa - Greundze in cucina 09.05.2015

venerdì 8 maggio 2015

Disobbedienza civile

«Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto» Dalai Lama

Credo che questa frase sintetizzi esattamente quello che sto vivendo negli ultimi anni e, soprattutto quello che vedo.
Viviamo oramai in una società che rappresenta quella di Essi vivono di Carpenter, tra l’altro visto per la prima volta ieri più obbligata che per interesse e alla fine mi ha presa. 
Come possiamo pretendere di avere in mano le nostre vite se le lasciamo governare da altri? che siano capi, colleghi, circostanze, genitori, amanti, amati non viviamo più per noi ma per altro. Addirittura arriviamo a sentirci in colpa se saltiamo una settimana di lavoro per malattia e ci trasciniamo dietro le nostre scrivanie o i nostri utensili praticamente in fin di vita per paura di fare brutta figura o di perdere il posto, il posto tanto agognato, soprattutto ora che questa crisi economica ci mette in ginocchio.
E noi cosa facciamo? Siamo vittime di questa crisi: ci lamentiamo, ci ammaliamo e talvolta ci togliamo la vita perché non vediamo altra via d’uscita. 
E così come reagiamo? Permettendo al “potente” (per dirla alla Jack Black in School of Rock) di manipolarci e di spolparci della cosa più importante che  abbiamo: la nostra vita. 
Mi ritorna in mente l’art. 4 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948) e che recita
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.” Ma noi questa forma l’abbiamo permessa eccome! Sì Sì siamo stipendiati a differenza degli schiavi, ma il valore è congruo al tempo che investiamo, alle energie, ai rischi che corriamo?
Cristo! Gente! Ci vediamo fuggire via la nostra vita, la nostra salute per cosa? Per quattro spiccioli che ci entrano in tasca e per riempire quelle altrui? Ma dico, ma stiamo scherzando?
Siamo in questa terra per un breve lasso di tempo e lasciamo che “quei pochi” non ce la facciano godere? Ma vi pare giusto?
“Dovremmo iniziare una bella rivoluzione” è il primo pensiero a tutto ciò, sì è vero dovremmo farla, ma chi la inizia? Io? Tu? Il compagno di merenda? La nuova stella nascente della politica italiana? Eh purtroppo non è nella rivoluzione la risposta, perché tanto ci sarà sempre il free rider che cambia carro all’ultimo o quei zerbini che vivono in funzione del “potente” e senza di esso non hanno senso. Così tutto andrebbe a sgretolarsi. 
No, la rivoluzione deve partire da noi, non saprei nemmeno bene come spiegare, ma dovremmo semplicemente iniziare a pretendere che i nostri diritti fondamentali vengano una volta per tutte riconosciuti: il diritto alla salute, il diritto alla famiglia, il diritto ad un lavoro, il diritto ad essere felici, o quanto meno sereni.
Ecco questa è una bella utopia.

Djablessa 30/04/2015

sabato 21 marzo 2015

Equinozio di primavera - Ostara

Oggi vorrei parlare, casualmente, dell’equinozio di primavera, la festa di origine germanica dedicato alla dea della fertilità Eostre.
Secondo una leggenda la dea trovò, verso la fine dell’inverno, un uccello ferito lungo una sua passeggiata nei boschi. Mossa da compassione, per salvargli al vita visto il freddo lo trasformò in una lepre, in modo da fargli trovare un rifugio adeguato fino alla stagione successiva. Ma qualcosa non completò questa trasformazione tanto che l’animale mantenne la capacità di deporre le uova, che lasciò alla dea a ringraziamento di questo atto di compassione.
Purtroppo questa è l’unica testimonianza in nostro possesso che confermi l’esistenza di una dea così antica. Essa non compare nell’Edda, benché molti studiosi siano concordi a credere che il culto fosse circoscritto ad alcuni ceppi germanici, ma non in tutto il nord, è vero, però, che Beda il Venerabile, accademico cristiano, nel 725 d.C. descrive, nella sua opera De temporum ratione, l’origine del mese di aprile: “Eosturmonath (mese di aprile in Gran Bretagna) ha un nome che è ora tradotto mese pasquale, e che una volta era usato in onore di una dea dal nome di Eostre, che era celebrata durante questo mese
Che fosse esistita o no, questa dea è oramai, con l’avvento del neopaganesimo e della Wicca, diventata il simbolo della primavera. 


Anticamente la festività pagana voleva celebrare, e ancora celebra, la rinascita della vita: le sacerdotesse accendevano un cero simbolo della fiamma eterna dell’esistenza che poi veniva riposto nei templi dedicati alla dea e spendo il giorno successivo. 
La fanciulla che diventa donna, così come il dio. Insieme pronti a fondersi in una danza di vita composta dall’innamoramento e dalla trasformazione del proprio essere. I protagonisti sono Persefone che torna dagli inferi e Pan, simbolo di fertilità per antonomasia. 


Rappresentazione dea Ishtar
Nella culla della civiltà, in Mesopotamia, si festeggiava il ritorno del dio Tammuz (metafora del sole primaverile) tra le braccia di sua moglie Ishtar (la Terra) che raggiunse gli inferi (inverno) per ritrovarlo dopo la sua morte per mano di un cinghiale. 

Secondo gli antichi Etruschi in questo giorno iniziava il nuovo anno poiché collegato all’aurora, all’est, al sorgere del sole. Veniva così fatta un’offerta all’Aurora degli Dei dell’Oscurità, per lo studioso L.B. Van der Meer, paragonabile alla storia di Persefone. 
Con Aurora viene festeggiata anche Tinia il dio della vegetazione e degli alberi. Pertanto anche per loro l’equinozio di primavera era la festa della rinascita, della luce e della vegetazione (simboli del del rinnovamento) e, non da ultima, della vita eterna.

Ma veniamo alla cultura romana che in questo giorno festeggiava la resurrezione del dio Mitra, nato nel periodo del solstizio invernale, vi ricorda niente? 

Infine, con il cristianesimo la festa venne assimilata alla Pasqua, giorno di resurrezione del Cristo (la sua rinascita, insomma) e, guarda caso, la data di celebrazione è basata su aspetti essenzialmente pagani: il primo plenilunio successivo all'equinozio di primavera. 
Tanto rimane forte la radice antica che in diverse lingue il nome è ancora collegato alla dea germanica: Easter in l’inglese e Ostern in tedesco.  Allo stesso modo anche i simboli più importanti della celebrazione pagana sono stati trasferiti in quella cattolica: il coniglio/lepre che rappresenta la fertilità vista la sua velocità nel prolificarsi, e l’uovo metafora dell'embrione primordiale da cui scaturisce l'esistenza (concetto di uovo cosmico già presente in antichi miti della creazione della zona mediterranea ed in molte altre culture extra europee).  

Al di là della simbologia, della storia, del credo culto religioso, è indubbio che l’equinozio di primavera festeggia il ritorno della luce, che dura di più rispetto al buio, almeno fino al solstizio. I “nostri vecchi” vedevano così scandire il passare del tempo e l’inizio della stagione delle semine per poi coltivare quello che sarebbe stato consumato, una volta maturato, durante il corso dell’anno e conservato per i mesi freddi. 


Armiamoci di fiori dai colori pastelli ad abbellire le nostre case (tempo permettendo); candele gialle, azzurre, rosa, verdi ad illuminare le nostre serate; dipingiamo uova da appendere ad un albero (vi lascio la foto di quelle fatte in casa mia), organizziamo una caccia a quelle di cioccolato per i nostri figli; facciamo in modo che la primavera vibri in noi e in ciò che ci circonda. 

Quindi ragazze e ragazzi festeggiamo questo splendido giorno, anche se oggi il cielo da me è plumbeo, festeggiamo il sole che ritorna, lasciamoci invadere dal suo calore e dalla sua vitalità, facciamola nostra e facciamo in modo di essere pronti ad un cambiamento limitato o radicale che sia, ma diamoci la possibilità di rinnovarci in meglio sia come persone che come società.


lunedì 23 febbraio 2015

Giorno Pagano Europeo della Memoria



Veduta del Foro Romano
@Djablessa

«L'Augusto Imperatore (Teodosio) ad Albino, prefetto del pretorio.
Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l'intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d'oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull'esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.
Milano, in data VI calende di marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco.»
Era il 24 febbraio del 391 d.C. quando con questo decreto, Nemo se hostiis polluat, l’imperatore Teodosio I bandì per sempre il culto pagano nel suo regno a favore di quello cristiano.

Vorrei sviluppare brevemente ciò che accade nei 30 anni precedenti a questa data e cosa portò ad una decisione destinata a cambiare le sorti del mondo allora conosciuto ripercuotendosi come uno tsunami nei secoli che seguirono fino ai giorni nostri.

Era il 367 quando Graziano venne nominato augusto dal padre Valentiniano I, aveva solo 8 anni all’epoca. I giorni di un ritorno al paganesimo erano oramai lontani l’imperatore Giuliano che ancora difendeva questa religione era morto e Valentiniano imperatore in Occidente aveva oramai abbracciato il credo di Nicea, pur tollerando l’esistenza delle due fedi religiose. 
Nel 375 Valentiniano I morì in Pannonia troviamo a governare Valente e Graziano che si ritrovò affiancato nel ruolo dal fratellastro, Valentiniano II, di soli quattro anni, acclamato dall’esercito come Augusto, ma privo di poteri data la giovane età.
Nel 378, dopo la disfatta di Adrianopoli, dove l’imperatore d’Occidente Valente trovò la morte, l’intero potere passò nelle mani di Graziano. L’anno successivo, preoccupato per le sorti del regno, i barbari erano ormai alle porte di Costantinopoli, nominò Augusto delle terre dell’Oriente, il generale spagnolo Teodosio. Questi, con tutta la sua abilità marziale riuscì a ripristinare i confini dell’impero e sconfiggere i Visigoti. 

Tra i due imperatori, iniziò, una stretta collaborazione sia sul piano politico che religioso.  Entrambi erano ferventi cristiani, al punto da rinunciare alla massima carica spirituale dell’impero, quella del Pontefice Massimo. 
Inoltre, entrambi, subirono l’influenza del vescovo di Milano, Ambrogio, sì il famoso Sant Ambroeus! L’ascendete del prelato portò, nel 380, all’emanazione dell’editto di Tessalonica da parte di Teodosio, firmato, successivamente, anche dagli altri due augusti Graziano e Valentiniano II. Questa ordinanza imponeva a tutti i sudditi del regno di professare la religione cristiana nella testimonianza della fede ortodossa. 

«Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro apostolo, e che egli ha trasmesso personalmente ai Romani, e che ovviamente (questa religione) è mantenuta dal Papa Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste.»
I cristiani vennero, così, distinti in due tipologie: i catholici, coloro che trovavano il consenso imperiale, e gli heretici, uomini che subivano il castigo non solo divino, ma anche quello del sovrano. Questa piccola distinzione sancì la nascita dello stato confessionale e, con essa, l’inizio di un periodo di intolleranza religiosa ed ideologica, volto alla discriminazione tra gli stessi sudditi verso una vera a propria “caccia all’eretico”. Inoltre con questo proclama i profitti dei sacerdoti pagani vennero versati nelle tasche di quelli cristiani che, nel frattempo, acquisirono enormi privilegi in seno alla costituzione del regno. 

Il culmine dell’antipaganesimo di Graziano culminò nel 382, sempre influenzato da Ambrogio, ordinò la rimozione della statua e dall’altare della dea Vittoria dalla curia senatoria. Vani furono i tentativi per veder revocata la decisione da parte dei membri della massima istituzione politica dell’epoca e dei patrizi pagani: uomini che si battevano nel nome di una libertà di culto e di una tradizione millenarie. 
Allo stesso modo, in Oriente, Teodosio, autorizzò la distruzione dei templi pagani di Apollo e di Delfi.
Sempre nel 382 venne, inoltre, ordinata da Graziano la confisca dei beni appartenuti a tutti i culti pagani e la soppressione dei collegi sacerdotali.
Teodosio, più subdolo, ordinò, invece, che i templi più belli venissero trasformati in tempi cristiani e, l’anno successivo, rinominò il Dies Solis, festa di Elios, in dies dominicus, giorno del signore, la domenica, ancora oggi sacra a tutti i credenti cristiani. 

Graziano morì nel 383, le sue misure a favore del cristianesimo e a persecuzione dei pagani, vennero attuate dai suoi successori, tra cui Teodosio.
Vi fu un breve di tentennamento da parte di quest'ultimo intorno al 389, quando a Roma, per la prima volta, celebrò il trionfo, una tipica cerimonia pagana in onore del generale che aveva conseguito una vittoria importante. In questa occasione la nobiltà patrizia cercò di attirare a sé i favori del sovrano che, per mantenere i giusti equilibri e non trasmettere un senso di rottura definitiva con questa parte della popolazione, decise di avvalersi di persone non cristiane in alcune cariche importanti in seno alla propria corte. Atto che mirava anche ad affermare una sorta di indipendenza dalla Chiesa e in particolare modo dal “caro” Ambrogio che aveva iniziato a condizionare in maniera sempre più frequente le decisioni politiche dell’imperatore.

Questa breve parentesi durò poco, l’anno dopo, nel 390, la popolazione di Tessalonica si ribellò al potere e impiccò il magister militum con l’accusa di aver arrestato un auriga perché omosessuale e di non aver dato, così, corso ai giochi annuali. La risposta di Teodosio fu una cruenta rappresaglia che portò alla morte di migliaia di persone. Il vescovo di Milano, Ambrogio, saputo di questo atto infame l’obbligò ad una penitenza che si concluse nel Natale di quell’anno con una richiesta pubblica di perdono. 
Secondo molti storici questa penitenza non fu altro che una messa in scena ordita da Ambrogio, infatti le persecuzioni da parte dell’imperatore verso i pagani si moltiplicarono.
L’apice culminò, appunto, il 24 febbraio 391 con il decreto Nemo se hostiis polluat dove venne sancita la chiusura di tutti i templi e l’abolizione di ogni forma di culto pagano, anche se praticato in via privata.
Il sacro fuoco di Vesta, custodito dalla vestali nel tempio all’interno del Foro Romano, fu spento per sempre e l’ordine si sciolse. 


Tempio di Vesta all'interno del Foro Romano.
fonte: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/90/Rom_vesta_tempel.jpg






















Da allora la religione pagana e chi la professava fu oggetto di una persecuzione che si protrasse per i secoli a venire. A muovere le fila di questo genocidio sono state le mire espansionistiche e di potere, e purtroppo tutto questo ancora avviene, sotto forme diverse, ma con le stessi basi, si dice che historia sia magistra vitæ, ma di fatto dopo quasi 2.000 anni ancora non abbiamo trovato una terapia per quel gene egoista che ci portiamo nel DNA.


Ed è per questo che oggi, tra i tanti genocidi commessi lungo la storia dell’umanità, io voglio ricordare.


Logo Giorno Pagano europeo della Memoria
fonte: http://www.giornopaganomemoria.it/simbolo.html



@Djablessa



Fonti
AA.VV., La storia - vol. 4 - Dall’impero romano a Carlo Magno, la biblioteca di Repbblica, Utet, 2004
AA.VV. a Cura di A. Schiavone, Storia del diritto romano e linee di diritto privato,Torino, G. Giappichelli Editore, 2005